Dal decreto fiscale sparisce la possibilità per le piccole partite Iva che applicano il regime forfetario di «sforare» il tetto di ricavi massimi previsto dalla legge, versando un’ imposta aggiuntiva del 27% sulla differenza pur di non transitare nel regime ordinario.
La misura, che costerebbe al bilancio statale oltre 270 milioni di euro complessivi nei prossimi tre anni, potrebbe essere però riproposta nella legge di bilancio. Questa la principale novità dell’ ultima limatura apportata dalle commissioni riunite bilancio e finanze della camera al dl n. 193/2016, dopo che l’ aula di Montecitorio aveva rimandato indietro il provvedimento per alcuni dubbi sulle coperture.
Uno degli emendamenti approvati la scorsa settimana introduceva la possibilità per i contribuenti che applicano il regime forfetario di rimanere nel meccanismo agevolato, anche in caso di superamento del fatturato consentito, tramite pagamento di un «extra». Nello specifico, a partire dal 2017 la norma avrebbe consentito di versare il 27% sulla quota eccedente (rispetto alla soglia di legge, variabile per la singola attività), fino a un massimo di due anni d’imposta anche non consecutivi. Ciò a patto che lo sforamento fosse contenuto entro i 15 mila euro.
La novità, salutata con favore dalle associazioni di categoria, avrebbe tuttavia comportato per l’ erario un effetto finanziario negativo, che secondo la Ragioneria generale dello stato non era stato adeguatamente considerato. Secondo le simulazioni effettuate dai tecnici del Mef, basate sui modelli Unico/2016 (redditi 2015), gli aderenti al nuovo regime forfetario (imposta al 15%) sono circa 165 mila, ai quali si aggiungono altri 135 che hanno aperto la partita Iva quest’ anno e i 600 mila soggetti che utilizzano ancora il «forfettino» del 5% di cui al dl n. 98/2011.
Attraverso l’ analisi del trend dei ricavi e compensi dichiarati nel triennio 2012 – 2014 è stato quindi calcolato che il superamento delle soglie di legge potrebbe interessare 39.800 tra professionisti, artisti e imprenditori all’ anno. Le minori entrate, connesse alla permanenza nel regime agevolato invece che al passaggio nell’ ordinario (con applicazione dell’ Iva), ammontano a 38 milioni di euro nel 2017, a 99 milioni nel 2018 e a 78 milioni nel 2019. Senza dimenticare il fronte contributivo, con un calo di introiti previdenziali di 15,4 milioni di euro nel 2017, 19,3 milioni nel 2018 e 19,5 milioni nel 2019. Da qui la scelta di eliminare l’ emendamento, ripristinando di fatto la situazione attualmente vigente.
Fonte: Il Sole 24 Ore